DRACULA di DARIO ARGENTO

di Dario Argento
con Asia ArgentoRutger HauerThomas Kretschmann

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Nel 1992 Francis Ford Coppola realizza Dracula di Bram Stoker, inserendo nel titolo il nome dell’autore per omaggiarlo e per dare piu’ spessore al suo capolavoro. Dario Argento inserisce invece nel titolo il suo stesso nome evidenziando un’inutile megalomania e soprattutto assicurandosi eterno imbarazzo nei decenni a venire.
Personalmente non ho mai lasciato un film a meta’ e solitamente non dormo dopo venti minuti dall’inizio, ma con Dracula di Dario Argento ho dovuto lottare con tutte le mie forze per evitare entrambi, perdendo pero’ la sfida. Completata la visione nell’arco di due giorni non riuscivo a credere a quello a cui avevo assistito.

La trama in sé e’ una riduzione della storia di Bram Stoker e tratta i personaggi senza alcuna profondita’ o interesse, riducendoli al rango di figure vuote in vestiti d’epoca. Il cast e’ imbarazzante, con le sole eccezioni del mitico Rutger Hauer (non estraneo comunque a film di infimo livello come a grandi opere) l’unico a dare al film una parvenza di serieta’, e Thomas Kretschmann, forse un po’ troppo rigido e non abbastanza carismatico per un personaggio come il Conte Dracula, ma comunque al di sopra di tutti gli altri. Il resto del cast e’ assolutamente impresentabile, Asia Argento in testa, e non basta un po’ di carne scoperta e suscitare interesse. Da uno che ha scritto C’Era Una Volta Il West, Profondo Rosso e altri classici, ci si aspetta una storia brillante, dialoghi intriganti e situazioni inaspettate, invece e’ esattamente l’opposto. Il ritmo del film e’ lento e impacciato, gli attori pronunciano una parola alla volta tra sospiri e balbettamenti, e la qualita’ generale ne risente.
Concludendo con i lati negativi non si puo’ non menzionare l’uso maldestro della computer grafica. Invece di usare gli effetti con il contagocce per non rendere il tutto finto e artificiale, il Dario nazionale decide di affidare al pc le scene topiche del film, e se delle finte fiamme o una trasformazione da lupo a uomo non e’ abbastanza, il picco dell’imbarazzo e’ nell’ormai famosa scena della mantide religiosa. Okay, Dracula puo’ trasformarsi in quel che crede, gufo, lupo, sciame di mosche, scarafaggi, ma la mantide religiosa non ha assolutamente alcuni senso né ai fini della storia, né della scena stessa. E la qualita’ visiva della (fortunatamente) breve sequenza non ha paragoni, se non un vecchio videogame Atari. Risate non volute e livello di trash ai massimi livelli.

E qualche aspetto positivo? Le poche scene splatter sono piuttosto efficaci, ma solo quelle vecchio stile, con sangue che sprizza e azione in camera, cosi come e’ piuttosto efficace….no nient’altro.

Personalmente l’ultimo film degno di nota e della fama di maestro dell’orrore di Dario Argento e’ Trauma (1993), e allargandosi esageratamente posso inserire anche La Sindrome di Stendhal (1996), ma da li’ in poi c’e’ il deserto. Dopo un disastroso rifacimento del fantasma dell’opera, un inutile ritorno alle origini del giallo, un sequel valido solo per chiudere a forza una saga, e varie ed eventuali, Dario Argento ha perso assolutamente credibilita’ come regista horror contemporaneo e continua a vivere di rendita grazie ai suoi classici degli anni 70 e 80. Prima di danneggiare ulteriormente la sua immagine dovrebbe fare un’esame di coscienza e affrontare la realta’ dei fatti. Si lamenta sempre che in Italia e’ difficile avere soldi e finanziamenti (Dracula ha avuto addirittura finanziamenti statali dato l’interesse culturale), ma se poi con le migliaia di euro che gli danno realizza lavori non all’altezza della sua fama, allora sarebbe meglio gettare la spugna e godere dei numerosi successi. Altro che 3D.

VOTO: 3

FAST & FURIOUS SIX

di Justin Lin
con Vin DieselPaul WalkerDwayne Johnson

fast-furious-6-car-jumpDopo aver trascinato una gigantesca cassaforte per le strade di Rio, aver distrutto tutto quello che si trovava loro davanti ed essere scappati con il benestare di chi li voleva catturare, Dom Toretto, Brian O’Connor & CO. tornano per aumentare ancora di piu’ i giri di una saga che ha gia’ toccato vette impensabili.

Un terrorista ha assoldato dei mercenari per portare a termine il suo piano di distruzione del mondo, ed e’ cosi’ che Hobbs (The Rock) convince Toretto a ricomporre la banda per aiutarlo a mettere i bastoni tra le ruote a una gang che guarda caso realizza colpi utilizzando automobili e compiendo stunt molto simili a quelle di Dom e soci. Con la promessa di avere tutti la fedina penale ripulita, i nostri eroi accettano di salvare il mondo, ma le prove che dovranno affrontare si riveleranno essere piu’ impegnative di quanto preventivato.

Poteva questo sesto capitolo essere piu’ grande, esagerato e rumoroso del gia’ incredibile quinto? Poteva e lo e’. Purtroppo quello che manca e’ una storia e una sceneggiatura solide sui cui costruire tutte le sequenze piu’ spettacolari, riducendo la trama a un’accozzaglia di scuse e cliché per arrivare alle scene gia’ viste nel trailer. Trailer che ha lasciato al film un paio di sorprese e colpi di scena che non hanno sorpreso pero’ piu’ tanto. Tutti sanno cosa succede quando qualcuno dice ‘appena finisce tutto andiamo via lontano e invecchiamo insieme’ e tutti sanno che qualcosa di inaspettato deve succedere nella mezz’oretta finale. Senza niente di originale sulla carta, il film appare come una serie di momenti di dialogo e spiegazione che hanno la sola ragione di preparare a scene di inseguimenti, scazzottate, esplosioni, voli nel vuoto, cambi di marcia e accelatori schiacciati, sparatorie e fughe a trecento all’ora. L’esagerazione di alcune sequenze fa scadere un tantino il tutto, e se aggiungiamo incongruenze, buchi, una gara “clandestina” nel centro (che piu’ centro non si puo’) di Londra che ad ogni curva si ritrova in zone assurdamente distanti l’una dall’altra, personaggi abbozzati e mosse da tag team di wrestling, allora Fast & Furious Six ha mancanto l’obiettivo.
Vin Diesel recita svogliatamente e borbottando la maggiorparte delle sue battute, Paul Walker lascia che siano i suoi occhioni azzurri a recitare per lui, mentre Michelle Rodriguez ritorna nel ruolo della ex smemorata (che pero’ sa ancora guidare perfettamente e si ricorda di chiamare Toretto col suo diminutivo Dom) che scombussola i piani di tutti. The Rock continua nel ruolo che ha permesso al quinto episodio di assumere piu’ spessore e in questo seguito e’ accompagnato da una tostissima Gina Carano, protagonista insieme a Michelle Rodriguez di una intensa scazzottata nell’underground di Londra, fermata Waterloo per chi volesse visitare. Vale la pena spendere un commento anche per Luke Evans, cattivo di turno che meritava piu’ spazio e anche un miglior trattamento.
Dopo Rio c’era bisogno di cambiare marcia e volendo anche tono, ritornando magari alle origini o concentrandosi maggiormente sulle corse in macchina e approfondendo sensibilmente personaggi che aumentano solo di eta’, ma non di spessore. Fast & Furious 6 non soddisfa se ci si aspetta piu’ cuore e umanita’, ma non delude se ci aspetta sequenze al di la’ dell’esagerazione. Il prossimo capitolo (si’, ci sara’ un prossimo capitolo) e’ gia’ introdotto nei minuti finali dopo il The End, e chissa’ se con l’avvento di una nuova faccia non si cambi anche registro.
Ride or die.

VOTO: 5.5

THE PLACE BEYOND THE PINES

(Come un tuono)
di Derek Cianfrance
con Ryan GoslingEva MendesBradley Cooper

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Avere figli non trasforma automaticamente uomini e donne in persone migliori o piu’ responsabili. Avere figli non sistema situazioni precarie e non aggiusta rapporti barcollanti. Avere figli non e’ un rimedio alla noia del non sapere come passare la giornata e non deve poi essere una scusa per non affrontare piu’ la vita.
Certo e’ che la vita cambia ed e’ per questo che Luke, non appena scopre di essere padre di un bimbo di un anno, decide di diventare parte della sua vita, nonostante la madre, Romina, viva con un altro uomo e non voglia saperne piu’ di tanto di un vagabondo che rischia la vita ogni giorno facendo lo stunt per un Luna Park. Ma Luke non demorde e pur di provvedere a suo figlio si fa coinvolgere da un improbabile partner in semi-improvvisate rapine in banca.
Da qui il regista Derek Cianfrance, gia’ responsabilie del sorprendente Blue Valentine, compie delle scelte inaspettate e il film assume facce diverse pur mantenendo sempre alta la tensione e la curiosita’. Ryan Gosling veste i panni del bello e dannato, con tanto di tatuaggi e maglietta dei Metallica sempre indosso (ok, tranne che nella foto sopra) e come nel precedente Drive, anche in The Place Beyond The Pines la sua inespressivita’ torna utile a un personaggio che fa delle pose e dell’impulsivita’ le sue armi migliori. Anche Eva Mendes colpisce per intensita’ in un ruolo comunque marginale rispetto all’ingombrante carisma di Ryan Gosling e alla notevole prova di maturita’ di Bradley Cooper, sopravvalutato in Silver Linings Playbook, ma convincente qui in un ruolo difficile e solo apparentemente ordinario.
Uno dei film piu’ interessanti e avvincenti del 2013, The Place Beyond The Pines pero’ inciampa leggermente nel finale, quando tutti i nodi vengono al pettine e bisogna compiere delle scelte. Poteva essere piu’ drastico? Poteva essere piu’ indulgente? Poteva essere piu’ violento? Ogni spettatore puo’ comunque interpretare alla sua maniera un finale che appare un tantino rattoppato per non deludere nessuno e deludere forse tutti. Cio’ che ne rimane e’ pero’ un film maturo, orchestrato con maestria, con interpreti in gran forma e soprattutto con vari assi nella manica per sorprendere il pubblico e non mollarlo fino ai titoli di coda.

VOTO: 7.5

IRON MAN THREE

di Shane Black
con Robert Downey Jr.Gwyneth PaltrowDon Cheadle

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E’ iniziata la seconda fase dei film Marvel. Dopo Avengers e’ tempo di riprendere tutte le storie una per una e Tony Stark e’ il primo a ripartire, acciaccato, frastornato dagli eventi di New York (di cui non vuole parlare), e in cerca di risposte, soprattutto da se stesso.

Alcuni errori del passato ritornano a tormentare Tony Stark accendendo nuove sfide e nuove battaglie. The Mandarin sta terrorizzando il mondo e solo Iron Man, insieme al compare Iron Patriot – nome piu’ politically correct di War Machine – puo’ salvare l’umanita’ dal baratro. Gli unici mezzi che avra’ a disposizione questa volta, pero’, sono il suo geniale intelletto e la sua proverbiale ironia. Tra attacchi d’ansia e nuovi gadget á la MacGyver Tony dovra’ addossarsi sulle spalle il destino del mondo.

Piu’ dark, piu’ esistenziale e assolutamente piu’ maturato come uomo, Tony Stark e’ l’assoluto protagonista di questo quarto e convincente capitolo della storia di Iron Man. Il regista Shane Black riesce a bilanciare e a far convivere con sorprendente maestria sequenze di un’efficacia visiva strabiliante (la distruzione della casa di Stark o la caduta libera dall’aereo) con scene piu’ intime, toccanti o divertenti (come il rapporto di Tony con il bambino che lo soccorre, o il colpo di scena che riguarda The Mandarin). Certo l’ironia e l’autoironia del nostro eroe la fanno ancora una volta da padrone, ma con un tono e un’intelligenza diversi. Tony Stark e’ stato colpito nel corpo e nella mente dagli eventi di New York, ed e’ finito il tempo del pianto e il vittimismo. Robert Downey Jr. e’ ormai Tony Stark e viceversa. Sara’ durissima sostituirlo in futuro. Don Cheadle invece e’ sostituibile (lui stesso e’ un sostituto) nei panni di Rhodes, mentre Gwyneth Paltrow e’ sempre piu’ a suo agio nei panni di Pepper Potts e questa volta rivela anche lati inaspettati del suo personaggio. Ben Kingsley e’ sempre una sicurezza, cosi come Guy Pearce, affascinante e malefico.
L’azione e gli effetti speciali di Iron Man 3 sono di gran lunga migliori dei capitoli precedenti, ma l’approfondimento (sempre nei limiti) del carattere e dell’uomo Tony Stark rendono questo nuovo capitolo appassionante e toccante. E come al solito non vi alzate prima della fine dei titoli di coda. Tutti.

VOTO: 7

ZERO DARK THIRTY

di Kathryn Bigelow
con Jessica Chastain, Joel Edgerton, Chris Pratt

0Dark30Appena iniziano a scorrere i titoli di coda si fa fatica ad alzarsi a cuor leggero.
L’ultima inquadratura fissa su Maya e’ probabilmente il momento piu’ toccante e rivelatorio di un film altrimenti eccessivamente confuso, verboso e forse appesantito dalle polemiche circa le torture e la veridicita’ di alcune sequenze.

Maya e’ un’agente della CIA che ha dedicato la sua vita professionale a Osama Bin Laden e sara’ lei a prendere le redini dell’operazione piu’ importante e rischiosa degli anni post 11 Settembre.

Dopo il grande successo di The Hurt Locker, Kathryn Bigelow torna a raccontare la guerra moderna, e questa volta da un punto di vista molto ben definito. Maya e’ il cuore e la mente dell’operazione che ha portato alla cattura di Bin Laden, e con lei viviamo gioie, frustrazioni, tragedie e incognite esistenziali. Mantenendo uno stile tra Black Hawk Down, Salvate il Soldato Ryan e il suo The Hurt Locker, Kathry Bigelow e’ attenta a costruire la suspense per il gran finale della cattura, cosi come non esita a mostrare atroci torture e attentati per non farci mai dimenticare che stiamo assistendo una storia veramente accaduta. Non ci si affeziona a nessun personaggio, tranne a Maya perche e’ l’unica su cui sono continuamente puntati i riflettori, ma e’ proprio la gran varieta’ di nomi, persone, eventi tra passato e presente, che rendono Zero Dark Thirty poco empatico e a tratti, specialmente la prima parte, difficile da seguire. Una volta entrati nella storia e nella mentalita’ contorta degli agenti della CIA, pero’, la tensione sale e culmina nella spettacolare sequenza finale della cattura. Un mix di camera a mano, effetti speciali, montaggio frenetico e dialoghi essenziali, rende i 25 minuti del blitz intensi e al cardiopalma, ma non abbastanza per vendere il film interamente su di una sequenza soltanto. E’ un degno finale per un film ben costruito, duro e che non risparmia niente a nessuno. Ma e’ l’inquadratura finale che veramente chiude il cerchio e lascia di sale. Un punto interrogativo, uno sguardo e un silenzio che valgono piu’ di quasi tre ore di dialoghi frenetici ed esplosioni.
E adesso dove andiamo?

VOTO: 6.5

THE IMPOSSIBLE

di Juan Antonio Bayona
con Naomi Watts, Ewan McGregor e Tom Holland

The ImpossibleNon e’ facile realizzare un film su di una catastrofe come lo tsunami del 26 Dicembre 2004. Bisogna decidere con attenzione su cosa porre l’accento e che cosa mettere al centro della narrazione. I trucchi per fare piangere e per colpire lo spettatore al cuore sono tanti, e molti sono stati usati all’infinito anche in film con meno sostanza.
Dopo il grande successo di El Orfanato, Juan Antonio Bayona ritorna con un progetto ambizioso che tratta con i guanti e delicatezza, ma che lancia allo spettatore con una forza emotiva e una violenza visiva strabilianti.

Una famiglia qualunque vola in Indonesia per passare le vacanze di Natale in spiaggia e al sole, ma il 26 Dicembre li travolge una tragedia inaspettata. Il resto e’ affidato al caso e alla loro forza di volonta’.

The-Impossible2Con Hereafter Clint Eastwood ci aveva gia’ provato a portare sullo schermo il disastro del 2004, in un contesto diverso e non esclusivamente dedicato allo tsunami, ma Juan Antonio Bayona  pone lo tsunami e tutti i protagonisti sullo stesso livello. La storia della famiglia e’ appena abbozzata, di loro sappiamo l’essenziale, ma cio’ che importa e’ la loro reazione alla tragedia. Ewan McGregor e Naomi Watts compiono un lavoro eccezionale nei panni dei genitori travolti e stravolti dall’onda, ma chi si erge ad assoluto protagonista e’ il giovane Tom Holland. Nei panni del figlio piu’ grande Lucas, Tom riesce a comunicare forza, amore, calma, terrore, imbarazzo e ansia attraverso i suoi occhi da bambino costretto a diventare grande in un attimo.
Dopo un classico inizio in cui regna quiete e tranquillita’, improvvisamente l’inferno. La sequenza dell’inondazione e’ tanto spettacolare quanto drammatica, i suoni e i rumori alternati ai silenzi assalgono lo spettatore e ci si ritrova a trattenere il fiato piu’ di una volta. Da li’ in poi non ci sono piu’ regole e logica, ma bisogna aggrapparsi alla propria forza di volonta’ e alla magnanimita’ delle altre persone. In un attimo si e’ perso tutto e tutti, ma non se stessi. Ogni scena e’ ricca di emozioni, ogni gesto pieno di significati, ogni abbraccio liberatorio.
Dimenticatevi la patina hollywoodiana di Titanic, de L’Alba del Giorno Dopo, o 2012. The Impossible e’ un film duro, ruvido, che non fa sconti alla drammaticita’, ma che non sfocia nel patetico o nel mieloso a tutti i costi. Non ci si affida mai alla religione, non si supplica un dio che permette certi disastri, ma piuttosto ci si aggrappa alle proprie forze e alla propria voglia di vivere e di aiutare non solo chi si ama, ma chi necessita di una mano.

VOTO: 7

FLIGHT

di Robert Zemeckis
con Denzel Washington, Nadine Velazquez e Don Cheadle

FLIGHTA dodici anni dal suo ultimo film con attori in carne e ossa (e un pallone), Robert Zemeckis ritorna alla grande con una storia intensa e intima che esalta Denzel Washington e lo riporta nell’olimpo dei grandi attori che reggono un film intero sulle proprie spalle.

Whip Whitaker e’ un pilota di linea col vizio di bere, divertirsi e fare uso di droghe. Una mattina come tante altre si sveglia dopo una notte di bagordi e prende le redini del suo aereo. Un’anomalia meccanica lo costringe a fare un atterraggio tanto spettacolare quanto miracoloso, ma le indagini sulle cause dell’incidente riveleranno anche tutti i suoi segreti. Ne uscira’ da eroe o da sconfitto?

Dopo un inizio al cardiopalma con la sequenza dell’incidente che vi fara’ riflettere ogni volta che rimetterete piede su un aereo, Flight diventa personale e intimo, mettendo al centro Whip, protagonista e artefice suo malgrado del destino di altri,  e tutte le sue debolezze. Con l’aiuto di un ex-tossica conosciuta per caso in ospedale durante il ricovero, Whitaker dovra’ affrontare prima l’esaltazione delle sue gesta, poi l’umiliazione delle varie illazioni e accuse, e infine i propri demoni.
Denzel Washington, ingrassato e appensantito per questo ruolo, offre una straordinaria interpretazione, dura, grezza, sprezzante, dritta al cuore e allo stomaco. E’ presente letterallmente in ogni scena e il suo personaggio e’ assolutamente il fulcro su cui si regge tutta la storia. Le figure di contorno, come lo scaltro avvocato della compagnia aerea, i superiori a cui Whip deve rendere conto o l’improbabile amico spacciatore interpretato da uno scanzonato John Goodman, sono solo pedine sullo sfondo, mentre lui occupa l’intero palcoscenico emotivo. Un altro attore meno dedicato e meno espressivo forse non avrebbe trasmesso con altrettanta forza e incisivita’ le paure, le bugie e i tormenti di Whip, ed e’ per questo che Denzel Washington merita la nomination all’Oscar per una prova sicuramente piu’ matura e ricercata di quando porto’ sullo schermo il detective Alonzo Harris in Training Day.
Fino alla fine del film siamo combattuti tra tifare per un pilota alcolizzato, ma talentuoso e brtillante nel suo lavoro, o parteggiare per chi vuole che giustizia sia fatta, e far prendere a Whip tutte le responsabilita’ del caso. Come il fragile, e a tratti spocchioso, capitano anche lo spettatore e’ catturato dal vortice di tribolazioni personali e non che il capitano dovra’ affrontare, e si rimane sempre in ansia temendo per la sua sorte e aspettando la scelta che alla fine dovra’ compiere.

VOTO: 7.5

DJANGO UNCHAINED

di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Christoph Waltz e Leonardo DiCaprio

django-unchained-2I film di Tarantino ormai bisogna prenderli con le molle.
Bisogna cercare di gestire l’esaltazione dell’attesa, l’esagerazione dei media, l’enorme aspettativa, l’oggettività durante la visione, la freddezza del primo commento, e il confronto con Pulp Fiction, personalmente ancora il suo migliore. Detto questo, Tarantino è tornato.
Ed è tornato alla grandissima, con tutti i suoi soliti ingredienti e con la sua solita ricetta: prendere un genere vagamente in declino, saccheggiare (leggi: ispirarsi e omaggiare) i classici e meno classici, construire una storia con personaggi cool e sopra le righe, aggiungere una colonna sonora in perfetto contrasto con le situazioni rappresentate, e amplificare dialoghi e maestosità delle immagini. Con Django Tarantino fa quello che gli riesce meglio, e cioè costruire una storia su carta in maniera ineccepibile e trasportarla sullo schermo in maniera altrettanto efficace. Pur sfiorando le tre ore, Django non stanca mai e mantiene costante lo stupore e l’attenzione per una trama articolata e variegata di dettagli, ma scorrevole e mai inceppata. Ironia, sarcasmo, citazioni e camei (Franco Nero, Don Johnson, Tom Wopat, Jonah Hill) sono altri tocchi tarantiniani immancabili che aggiungono spessore a una storia che non si prende mai sul serio fino in fondo.

django-unchainedI personaggi sembrano pennellati sullo schermo, e grazie alle magnifiche interpretazioni di Christoph Waltz, Jamie Foxx e Leonardo DiCaprio, Django incanta e sorprende ad ogni inquadratura.
Gli straordinari paesaggi fanno pensare di essere veramente nel 1858, ma le musiche di James Brown e 2Pac ci ricordano che siamo invece in un western di Tarantino.
E la tanto polemizzata violenza? E il tanto contestato (soprattutto dal poco flessibile Spike Lee) utilizzo della parola “nigger“? La violenza è presente e talvolta in maniera sfavillante e spettacolare, soprattutto nella parte finale, ma non è assolutamente al centro del film. Cosi come non c’e’ da scandalizzarsi e urlare al razzista per l’uso frequente della N-word, probabilmente unico dettaglio storicamente accurato del film, in quanto parola largamente utilizzata all’epoca. Al centro di Django,invece, c’è la peculiare amicizia tra un ex-dentista diventato cacciatore di taglie e un ex schiavo che si unisce alla causa per raggiungere il suo obiettivo finale, e cioe’ salvare la moglie finita tra le grinfie dello schiavista dandy DiCaprio. Una storia che diventa una favola e che finisce forse in maniera inaspettata, piu’ per la sfiorata stucchevolezza che per il risultato, ma che e’ in perfetto stile Tarantino.
E adesso via a rivedere la trilogia del dollaro, Giu la Testa, Trinita‘, Django (quello vero) e tutti gli altri.

VOTO: 7

DREDD

di Pete Travis
con Karl Urban, Olivia Thirlby e Lena Headey

dreddDevo ammetterlo.
Ero, e sono, un fan del Judge Dredd di Sylvester Stallone.
Okay, al contrario del Dredd sulla carta che per 35 anni non si e’ mai tolto l’elmetto, Stallone sceglie invece di toglierselo e con se’ tutto il significato e l’essenza del personaggio di John Wagner e Carlos Ezquerra; ma col senno di poi quella versione del 1995 e’ figlia di anni novanta esageratamente pacchiani che dovevano ostentare di tutto e di piu, e il film adempie bene al suo compito. Non c’era ancora la cultura (e la moda) di portare eroi dei fumetti sul grande schermo, e bisogna dare atto a Stallone e al regista Danny Cannon di averci regalato un Dredd meno fumettoso, ma sicuramente piu’ umano.

In questa rivisitazione, invece, si e’ optato per una strada diversa.
Karl Urban presta fisico e bocca a un personaggio piu’ vicino a terminator che a un uomo, non si toglie mai l’elmetto per non far rivoltare i fan, e l’atmosfera post-atomica e’ cupa e disillusa. Perfetto. Ma la storia? Purtroppo dopo l’uscita del spettacolare The Raid o di Tower Block, la trama di Dredd non risulta essere troppo originale e le sequenze d’azione non paiono estremamente innovative.

Una nuova droga chiamata slo-mo (il cui effetto rallenta del 99% la velocita’ percepita della realta’) sta invadendo la citta’, e chi gestisce il racket e’ Ma-Ma, Madeline Madrigal, capo incontrastato del palazzo Peach Tree, quartier generale della sua gang. A seguito di tre omicidi, Dredd e la sua nuova collega novellina si recano sul posto per indagare, ma rimarranno chiusi dentro il mega-palazzo e dovranno riuscire ad arrivare all’ultimo piano senza farsi eliminare dall’esercito di Ma-Ma.

L’escalation di violenza e’ graduale e costante, partendo dal pian terreno in su, ma come detto, la stessa dinamica e’ sviluppata meglio e con piu’ creativita’ nel geniale The Raid di Gareth Evans. Cio’ detto, Dredd rimane comunque un film piacevole e godibile. Gli effetti visivi conseguenti all’uso della droga slo-mo sono notevoli e di grande efficacia, cosi come le sequenze in cui sparatorie, esplosioni e violenza la fanno da padrone, su tutte il triplo mitragliamento a fuoco concentrato che constringera’ anche Dredd a ripararsi dietro a un angolo.
Karl Urban riduce la recitazione a poche essenziali frasi storiche, e solo con la bocca riesce perfettamente a comunicare lo stato d’animo represso, duro, imperturbabile di Dredd. Una vita da giudice, giuria e giustiziere l’ha prosciugato di ogni sentimento, ma ci pensera’ la sua improbabile collega e sensitiva Anderson a provare a scalfire la sua impenetrabile armatura.
In Italia non si sa quando uscira’, ma nel resto del mondo e’ gia’ disponibile in DVD.
Non sara’ un successo, ma diranno tutti che sara’ meglio della versione di Stallone.
La negoziazione e’ finita. La sentenza e’…morte.
Meglio aspettare i rinforzi.

VOTO: 6

END OF WATCH

(End of Watch – Tolleranza zero)
di David Ayer
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on Jake GyllenhaalMichael Peña e Anna Kendrick

Dopo essersi fatto le ossa con due pregevoli film ambientati nel mondo corrotto e violento della polizia, Harsh Times e Street Kings, David Ayer torna con una variazione sullo stesso tema. Questa volta pero’ decide di cavalcare il trend del genere camera-in-mano per filmare avvenimenti come fossero in tempo reale e in prima persona, e dota i suoi due protagonisti (e anche i cattivi) di un camcorder e due microcamere attaccate al taschino dell’uniforme. Mescolando, quindi, in un montaggio veloce e frenetico immagini in soggettiva e immagini non riprese dai personaggi, Ayer realizza un film crudo, dinamico e violento, con un crescendo drammatico ben costruito e con giuste dosi di sentimentalismo, superficialita’ e impegno politico.

Brian e Mike sono partner nel lavoro e amici fraterni nella vita, insieme condividono le quotidiane sfide che il loro lavoro di poliziotti di strada propone giorno dopo giorno, sempre in auto a rispondere a chiamate che possono nascondere insidie inaspettate. Quando pero’ fermano la macchina sbagliata e iniziano a investigare per conto proprio su questioni fuori dal loro controllo, vengono presi di mira da gente senza scrupoli che fara’ di tutto per eliminarli.

L’aspetto piu’ interessante del film e’ il feeling di verita’ e naturalezza che trasmettono Jake Gillenhall e Michael Pena. Per prepararsi hanno passato giornate intere insieme, e per mesi hanno seguito veri poliziotti in strada durante vere chiamate e con veri pericoli. La sintonia che si e’ creata tra i due e’ innegabile sullo schermo e proprio il loro credibile rapporto di amicizia sorregge una sceneggiatura che lascia spazio (forse) a qualche incongruenza, e che fondamentalmente non tratta niente di nuovo: bande di messicani, di neri, sparatorie, droga, pattugliamenti, poliziotto buono, poliziotto cattivo, poliziotto
insopportabile, inseguimenti etc. Uno stile vérité violento e crudo, e un linguaggio esageratamente da strada accompagnano le vicende dei due tra i quartieri di South Central a Los Angeles, mentre la presenza di Anna Kendrick e Natalie Martinez, le loro rispettive compagne, allenta un tantino la tensione e ammorbidisce il lato grezzo del film aggiungendo un tocco di femminilita’ a un contesto estremamente macho, in cui anche le poliziotte sono fredde e ciniche – America Ferrera irriconoscibile. Tensione sempre presente pero’, perche’ come dice Mike, quando si ha a che fare con un poliziotto qualcosa di terribile puo’ accadere ogni giorno e in ogni momento.

VOTO: 7