THE THING

di Matthijs van Heijningen Jr.con Mary Elizabeth Winstead,Joel Edgerton e Ulrich Thomsen

Sembra non esserci fine all’emorragia di remake, prequel e reboot che sta invadendo il mondo del cinema. The Thing (La Cosa) e’ solo uno degli ultimi esempi, e non dei migliori, ma in questi ultimi anni gli schermi sono stati invasi da A Nightmare on Elm Street, Fright Night, Friday the 13th, Halloween, Last House on the Left, I Spit on your Grave, Hills Have Eyes, Piranha etc. E sto parlando solo di remake horror, senza addentrarmi negli altri generi. Ma e’ possibile che si cerchi in tutti i modi di convincere le nuove generazioni ad andare al cinema proponendo rifacimenti di classici gia’ perfetti di per sé? Gli originali sono lí da vedere, scaricare o acquistare. Valorizziamoli, invece di arrenderci all’inondazione di nuove versioni che non fanno altro che appiattire una storia del cinema ricca di capolavori. Certo non mancano i remake ben fatti e meglio riusciti, come The Texas Chainsaw MassacreDawn of the Dead, ma probabilmente perche’ sono riusciti a dimenticarsi del contesto storico-culturale dell’originale e creare un’atmosfera fresca, nuova e moderna, senza cercare di copiare o ricalcare.

The Thing 2011 si apre nel 1982 e precede di pochi giorni il precedente di John Carpenter, un remake a sua volta del classico del 1958 The Thing from another World.
Il regista Matthijs van Heijningen Jr., al suo primo lungometraggio, sembra essere intimorito dalla grandezza dei suoi predecessori, e nonostante l’inizio accattivamente e sicuro di sé, in cui crea la giusta atmosfera e tocca i giusti spunti, lentamente si lascia trasportare piu’ dalla preoccupazione di gestire gli effetti speciali esageratamente plateali che dall’importanza di raccontare una storia. I personaggi sono appena abbozzati, non conosciamo niente di nessuno, e non ci importa della fine che faranno; sara’ un caso che l’unico di cui ci ricorderemo e’ quello che non parla neanche Inglese?
Kate (Mary Elizabeth Winstead) e’ l’eroina protagonista, scelta per non andare contro il personaggio leader di Kurt Russell dell’82, ma clone non dichiarato della Ripley di Alien, con tanto di lancia fiamme, ma assolutamente meno carismatica e incapace di trasmettere quel senso di paranoia fulcro di tutta la storia.
Grazie alla “cosa” sempre ben visibile in tutte le sue improbabili e mostruose forme, il film del giovane regista Olandese perde di efficacia e credibilita’. Quello che mantiene svegli e’ la continua ricerca di dettagli che collegano questo al suo predecessore del 1982, come ad esempio l’ascia che Sam (Joel Edgerton) conficca nel muro, o altre parti della base perfettamente ricreata per questo prequel.
Terminato di spiegare perche’ e percome la “cosa” e’ arrivata sulla terra, The Thing finisce mostrando esattamente la stessa scena con cui inizia il film di John Carpenter, unico aspetto di rilievo per un film mediocre e inutile che si aggiunge alla lista di cui sopra.
Aspettiamoci comunque un sequel…ma anche no.

VOTO: 5.5

GHOST RIDER: SPIRIT OF VENGEANCE

di Mark Neveldine, Brian Taylor con Nicolas Cage, Ciarán Hinds and Idris Elba

Nicolas Cage avrebbe bisogno di un film di qualita’ per uscire da un tunnel di mediocrita’ che sembra non avere fine, e invece di selezionare progetti interessanti finisce sempre per rimanere ingabbiato in giocattoloni hollywoodiani che non hanno ne’ capo ne’ coda.
Ghost Rider: Spirit of Vengeance era stato pompato come il riscatto allo scadente primo capitolo, e la rinascita di Cage come attore d’azione grazie alla presenza dei due scatenati registi di Crank e Gamer, Neveldine/Taylor, e grazie a una storia piu’ fedele al fumetto ed effetti migliorati. Tutto falso.
La trama non vale la pena essere raccontata e i fan dell’eroe su carta rimarranno delusi dalla piattezza con cui non viene descritto nessuno dei personaggi coinvolti nella vicenda, a favore di una regia superficialmente spettacolare, slow motion inutile e inquadrature dal basso a non finire. I due talentuosi registi hanno girato il primo Crank con una videocamera HD grande come il palmo di una mano, realizzando ogni scena con due camere  in posizioni diverse. Ma in Ghost Rider l’eccessiva dinamicita’ e furia della macchina da presa, insieme a un montaggio frenetico e a spettacolari quanto innecessari close-up, non fanno altro che rendere confusa l’azione.
Il teschio infuocato e’ migliorato rispetto al primo capitolo, piu’ scuro, grezzo, realistico e inquietante, e unico dettaglio che enfatizza la natura maledetta e infernale del nostro Johnny Blaze. Ed e’ proprio questo suo essere anti-eroe, con superpoteri infernali – qui tutti a sua disposizione senza alcuna spiegazione – e un passato sconvolto da tragedie che rendono Ghost Rider un personaggio unico nel suo genere all’interno dell’universo Marvel. Nei fumetti l’abbiamo visto combattere con Spider Man, gli X-Men, Mister Fantastic, The Punisher, o contro Hulk e persino gli Illuminati, con trame intrecciate e complicate a tal punto che l’accavallarsi di diversi autori non faceva altro che esasperare concetti e riflessioni. In Ghost Rider: Spirit of Vengeance, invece, molti elementi sono rappresentati solo a scopo di intrattenimento – l’urina infuocata (???) che gia’ si vede nel trailer non ha motivo d’essere – i dialoghi sono talmente imbarazzanti che Nic Cage fa anche del suo meglio per essere credibile – parla per frasi fatte molto corte, per non esagerare, e la sua faccia si vedra’ 10 min in tutto – e anche il personaggio di Violante Placido, nonostante lei sia piuttosto a suo agio in una tale confusione, non e’ ne’ spiegato e ne’ crea empatia alcuna. E non dimentichiamo un redivivo Christopher Lambert, faticosamente plausibile e convincente, e a volte divertente suo malgrado.
Unica nota positiva del film e’ l’atmosfera surreale, onirica e graficamente esagerata tipica anche del fumetto e ben trasportata su pellicola.
Ma e’ un po’ poco per salvare la faccia…o il teschio.

VOTO: 5

TAKE ME HOME TONIGHT

di Michael Dowse con Topher Grace, Anna Faris and Dan Fogler

Rimasto su qualche scaffale a Hollywood per circa quatto anni a causa di immagini troppo esplicite di uso di droghe, Take Me Home Tonight ha visto il buio di una sala nel 2011 per finire poi distribuito in DVD in mezzo mondo. Tranne in Italia, in uscita nelle sale a breve e incredibilmente con il titolo originale. Almeno.

Siamo nel 1988. Matt e’ un giovane brillante e con tutta la vita davanti a se’, ma stanco della superficialita’ materiale tipica di quegli anni decide di abbandonare il MIT e una carriera sicura per un banale, ma tranquillo, lavoro in un negozio di videocassette. L’incontro, pero’, con una vecchia fiamma di liceo inneschera’ una serie di eventi, bugie ed equivoci che lo fara’ riflettere sulla vita, le relazioni e il futuro.

I mitici anni 80 rappresentati come non si vedeva da parecchio tempo,  un’atmosfera ribelle e frizzante, capelli cotonati, giacche con le maniche tirate su, cravatte colorate, cocaina, sesso facile, yuppies e rock ‘n’ roll. I clichés non mancano, ma in fondo non c’e’ niente di clamorosamente esagerato come ad esempio nel recente The Hot Tub Time Machine. Topher Grace ricorda Marty McFly, Ferris Bueller e molti dei protagonisti di quegli anni – John Cusack, Patrick Dempsey, Corey Feldman etc – con in piu’ un tocco contemporaneo di snobismo contaminato da riflessioni esistenziali semplici, ma comuni a tutti. Cosa importa nella vita, quello che vogliamo fare noi o quello che gli altri vogliono che facciamo? E’ piu’ importante apparire supercool o esserlo perche’ sinceri e diretti con gli amici e le persone che ti stanno vicino?
Il film di Michael Dowse omaggia il famoso pezzo di Eddie Money ed e’ un divertente e scatenato viaggio lungo una notte, in cui tutto puo’ succedere e tutto succede. Non volgare come le piu’ recenti commedie spinte e crude, e ne’ demenziale o parodico, TMHT centra il bersaglio della nostalgia senza rinunciare a osare.
A parte alcuni anacronismi – Kickstart my Heart dei Motley Crue e’ uscita nell’89 e sicuramente altri riferimenti saranno fuori tempo per i piu’ attenti – Take Me Home Tonight e’ un film sincero, senza grosse pretese, banale quanto basta e originale quanto basta.
Se siete fan degli anni 80 o li avete vissuti sara’ sicuramente un bel viaggio nel tempo.

VOTO: 7

GRACE (2009)

di Paul Solet con Jordan Ladd, Samantha Ferris and Gabrielle Rose

Dalla casa di produzione ArieScope del geniale e giovane regista Adam Green, nel 2009 e’ uscito questo inquietante e ben fatto filmetto. Con un budget modesto e con una storia senza fronzoli e pretese, Grace e’ l’emblema dei film horror indipendenti moderni: interlligente e con il solo scopo di dimostrare che da una buona e semplice idea si puo’ realizzare un buon film.

Madeline e’ incinta, ma un incidente in macchina uccide il suo compagno e il figlio che aspetta. Impuntandosi nel portare a termine lo stesso la gravidanza, si affida cosi’ alle cure di una ostetrica privata e dara’ alla luce un bambino che miracolosamente respirera’.  Questo miracolo avra’ pesanti conseguenze sulla vita e il benessere di Madeline, cosi’ come per le persone vicine a lei.

Fin da Rosemary’s Baby, The Omen o Children of the Corn, i bambini sono sempre stati fonte di terrore e inquietudine. In questo caso non ci sono poteri soprannaturali o demoni, ma il pargolo appena nato avra’ la capacita’ di porre una madre davanti a scelte terribili e deleterie per se’ e per gli altri, ma curiosamente non per il bimbo in questione.
Il clima claustrofobico che attanaglia sempre di piu’ la nostra protagonista gode di un crescendo ben studiato grazie e personaggi e dettagli che non sembrano mai messi li’ per caso – le mosche in casa, la suocera opprimente, il medico importuno, i piatti sporchi, il biberon di vetro – sino al finale sanguinolento e inevitabile che pero’ non allenta la tensione neanche dopo i titoli di coda.
Un’ode all’indipendenza femminile in chiave horror, ma nonostante la presa emotiva, non mancano dettagli improbabili e inverosimili che evidenziano la fragilita’ di un personaggio forse piu’ credibile sulla carta o sulla pellicola che non nella realta’.
Non consigliato alle donne incinte.

VOTO: 6.5

CABIN FEVER 2: SPRING FEVER

di Ti West con Michael Bowen, Noah Segan e Rider Strong

Dopo il successo del primo capitolo, grazie alla straordinaria mente malata di Eli Roth, era inevitabile che la produzione spingesse per realizzare un seguito. Dopo tanti dubbi, bozze e ritardi, il progetto e’ stato dato in mano a Ti West, promettente e ispirato regista che si era gia’ messo in mostra con l’interessante The House of the Devil.

Un ballo di fine anno finisce in tragedia dopo che tutti gli studenti – tranne pochi fortunati eroi e non – sono contaminati da un virus letale presente nell’acqua che e’ stata distribuita nella scuola. Dopo i fatti del primo Cabin Fever il contagio prosegue e questa volta mietera’ molte piu’ vittime e fara’ presagire altri possibili scenari.

Questo secondo capitolo era gia’ pronto nel 2007, ma incomprensioni, litigi, differenti versioni di montaggio e scene rigirate, l’hanno tenuto in stand-by per un paio d’anni finche’ non ha visto il buio di una sala nel 2009 al Screamfest Horror Film Festival.
Il regista Ti West ha anche cercato invano di far togliere il suo nome dai crediti insistendo sul fatto che i produttori avessero voluto storpiare il film a loro piacimento, deviando quanto piu’ possibile dalla sua visione della storia.
Cabin Fever 2 non e’ un film eccezionale, certo, ma gli appassionati del genere possono solo divertirsi, senza pretese e senza prendersi troppo sul serio. Se ci si abitua ai ragazzini studentelli che dimostrano 30 anni, o ai buchi di sceneggiatura su cui non vale la pena perdere tempo facendosi domande inutili – le scene all’interno della scuola sembrano girate in due edifici diversi, mah – allora ci si fara’ coinvolgere dalle truculenti morti e dal sangue a litri. I personaggi stereotipati non mancano e neanche le dinamiche in stile “dalli all’untore” con cui si propaga il micidiale virus, ma l’esagerazione di varie scene splatter e la leggerezza con cui si tratta la storia dall’inizio alla fine mettono questo sequel al di sopra della media dei piu’ recenti seguiti horror.
Nonostante le tante critiche e le tante colpe addossate a destra e a manca per un risultato scadente, ritengo che Ti West non debba recriminare piu’ di tanto. E’ vero che chi mette i soldi pretende e non vuole perdere niente, ma e’ anche vero che e’ il regista a dire agli attori come recitare, al direttore della fotografia dove mettere le luci, agli operatori che movimenti di camera eseguire etc. Il montaggio e la post produzione possono sí cambiare dettagli della storia, il ritmo delle sequenze, o rendere piu’ o meno cruenti gli effetti speciali – anche se la maggior parte avvengono in camera – ma in un film del genere non cambiano radicalmente quello che si e’ effettivamente filmato.
Ti West e’ un regista talentuoso e l’ha dimostrato con il successivo Innkeepers, ma anche Cabin Fever 2 ha un suo perche’ e per essere un sequel con protagonisti liceali che parlano solo di donne, sesso, e il cui problema fondamentale e’ andare o meno al ballo di fine anno, direi che e’ piu’ divertente, disgustosamente cruento e godibile di tanti altri horror (e non) simili.
E non spegnete prima della fine dei titoli di coda.

VOTO: 6.5

THE WOMAN IN BLACK

di James Watkins con Daniel Radcliffe, Janet McTeer e Ciarán Hinds

La saga di Harry Potter e’ finita e Daniel Radcliff tenta di scrollarsi di dosso il personaggio che lo perseguitera’ a vita scegliendo come primo progetto The Woman in Black.
Grazie alla rediviva Hammer Films e a James Watkins, sorprendente regista del duro e violento Eden Lake (2008), il giovane Daniel si fa crescere una barbetta incolta, aumenta l’azzurro degli occhi e si fa impallidire il viso per dare vita ad Arthur Kipps, protagonista della storia basata sul romanzo di Susan Hill.

Un giovane avvocato, vedovo e con un figlio piccolo, si deve recare in un remoto villaggio per dirimere alcune questioni legali, ma presenze, fantasmi del passato e leggende locali influenzeranno notevolmente la sua permanenza.

Tipica storia di fantasmi all’inglese, con tocchi gotici e regia lenta, The Woman in Black incuriosisce finche’ non diventa palese che non ha niente per cui stupire. I classici trucchetti per spaventare sono sempre i soliti di chi non ha idee narrative interessanti – colonna sonora musicale che fa saltare sulla sedia in momenti ben calcolati, montaggio furbo, sedie a dondolo che si muovono da sole etc – e anche il giovane Daniel non fa piu’ di tanto per dimostrare di essere forte abbastanza per caricarsi il film sulle spalle. La sua interpretazione e’ sommessa e impacciata, e forse anche per colpa della sceneggiatura singhiozzante, The Woman in Black diventa un film che nonostante alcuni spunti interessanti – come i bambini che si uccidono in stato di trance o le visioni della “donna in nero” – si accartoccia su se stesso e lascia tutto in sospeso.
Daniel Radcliff si ritrova a interpretare il ruolo di padre e avvocato a soli 23 anni, ma appare spaesato lontano da Hogwarts. E per tutto il film non si puo’ fare a meno di pensare che altri sarebbero stati piu’ interessanti in quel ruolo (Johnny Depp??) e che altri registi avrebbero caricato il film con maggior intensita’ e creativita’ (Tim Burton??). Ma Sleepy Hollow e’ gia’ stato fatto, per cui quello che rimane e’ una piatta ghost-story tra nebbia e fantasmi che finira’ per annoiare i piu’ ed esaltare solo i fan di Harry Potter. Forse.

VOTO: 5.5