CARRIE 2013

di Kimberly Peirce
con Chloë Grace Moretz, Julianne Moore, Gabriella Wilde

carrie-2013Cosa significa ‘rifare un film per le nuove generazioni’?
Cosa significa re-immaginare un film?
Come sempre più spesso sta accadendo, opere più o meno degne degli anni 70-80-90 e persino 00 (Old Boy? Rec? Let The Right One In?) stanno subendo rifacimenti il più delle volte insensati e inutili. Ma le nuove generazioni non possono cercare e vedersi gli originali? Devono per forza esserci telefoni cellulari in Carrie così che i ragazzetti di oggi possano identificarsi in quello a cui stanno assistendo? I remake sono sempre esistiti e spesso hanno dato anche risultati eccellenti, vedi The Thing di John Carpenter, ma negli ultimi anni hanno creato sempre più polemiche e sfregiato film cult, e non, senza ritegno.

Carrie non fa eccezione, purtroppo. Certo vedendo oggi l’originale di Brian De Palma non si può non ammettere che sia un filo datato e che alcuni effetti siano piuttosto empirici, sebbene molto efficaci. Ciononostante i contenuti sono estremamente attuali, grazie alla storia di Stephen King, le metafore assolutamente incisive, le interpretazioni straordinarie, anche se Piper Laurie nel ruolo della madre è a volte eccessivamente eccessiva. Il laissez faire degli anni 70 poi permetteva di mostrare più di quello che si fa oggi rendendo la scena iniziale terribile e allo stesso tempo intrigante, mentre il crescendo di tensione è maneggiato con sapienza da un regista abile come pochi a far stare sul filo di lana.
Nel remake, Kimberly Pierce si ricorda di aver vinto un Oscar con Boys Don’t Cry (non lei, ma Hilary Swank) e si crogiola nuovamente in una tematica di disadattamento e imbarazzo. Non c’era niente da cambiare in un film come Carrie, e la regista sceglie di modificare alcuni dettagli dell’inizio e della fine, oltre ad aggiornare, ovviamente, la qualità visiva delle varie scene con i mezzi odierni. La telecinesi della nostra protagonista è resa in maniera più efficace grazie a effetti speciali meno empirici, e il delirio finale è certamente più spettacolare e coinvolgente. Alla giovane Chloe Moretz però non resta far altro che imitare Sissy Spacek e ricalcare le sue orme, anche se gli occhioni sgranati sono irripetibili, mentre la più matura Julianne Moore gioca d’esperienza e dà al personaggio della madre un’impronta meno carica e più essenziale nei suoi vaneggiamenti religiosi.

Godetevi pure i remake, ma andate a cercare anche gli originali, per favore.

VOTO: 5.5

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