AMERICAN PSYCHO (2000)

di Mary Harron
con Christian Bale, Justin Theroux and Josh Lucas

american-psychoChi è un cinefilo? Chi si può ritenere tale?
Uno che si riempie la bocca con titoli sconosciuti e talmente di nicchia che neanche chi li ha girati sa che sono stati distribuiti? O uno che cita a caso neorealismo, nouvelle vague e free cinema? O ancora, uno che ‘sa tutto lui e nessun altro capisce’? Oppure uno che spiega i film in maniera criptica e difficile da decifrare, snobbando le opinioni altrui?
Non lo so. Io credo che essere amanti del cinema significhi, appunto, amare il cinema, perdersi nelle storie, le trame, i colori, gli sguardi, i dialoghi, la musica, e meglio se sul grande schermo. E non importa il genere, il regista, l’attore o l’attrice. Il Cinema con la C maiuscola comprende la commedia demenziale, il blockbuster con i robot, il dramma epico, l’azione esplosiva, l’horror più cruento, l’indie più di nicchia o il western fantascientifico.

Un film che negli anni ha catturato sempre di più l’attenzione di ‘cinefili’ e cultori di cinema è American Psycho. Tratto probabilmente dal miglior libro di Bret Easton Ellis, il progetto cinematografico non è stato facile da realizzare per vari motivi, non ultimi l’estrema e inaudita violenza della storia – difficile persino da leggere su carta – e le numerose metafore e frecciate di una trama dai risvolti surreali, ma perfettamente riconducibile a una realtà attuale ben conosciuta.
La superficialità e la spocchia di Patrick Bateman e dei suoi amici yuppie non sono molto dissimili dall’attuale menefreghismo e necessità di ostentazione dei ‘ricchi’ (e non ricchi) di oggi – memorabili le sequenze in cui si paragonano i vari biglietti da visita. Un giovane Christian Bale ha iniziato qui il suo percorso di dedizione all personaggio che proseguirà anche in futuro in The Machinist (L’Uomo Senza Sonno), The Fighter, Equilibrium e Batman, e proprio con Pat Bateman l’attore gallese non ha avuto paura di dimostrare che i ruoli difficili non lo spaventano.
american-psycho2 Il personaggio creato da B.E.Ellis perde un tantino di incisività sullo schermo, a causa forse di alcune pressioni esterne o scelte forzate riguardo i lati di Bateman da esplorare o le parti del libro da omettere, ma ciononostante quello che rimane è l’essenza di un personaggio tormentato, paranoico, fragile e insicuro, ma allo stesso tempo estremamente arrogante, inquietante, irritante, violento, e inaffidabile.
Il film di Mary Harron centra il bersaglio quando tratteggia in maniera precisa ed essenziale Bateman e la sua insopportabile (anche per lui) cricca di amici, o quando inserisce ad hoc i suoi deliranti monologhi su Huey Lewis and the News o Phil Collins, o ancora quando presenta e delinea i personaggi femminili con la stessa freddezza e distacco dello stesso Bateman. Diventa, invece, meno intenso nei momenti in cui l’estrema e nauseante violenza del nostro protagonista dovrebbe essere straripante e incontrollabile, mentre invece è sempre trattata con il freno a mano tirato nonostante si intuisca più di quello che si vede.
Più passano gli anni e più American Psycho diventa intrigante e sempre più attuale.
O mi sto immaginando tutto?

VOTO: 7.5

END OF WATCH

(End of Watch – Tolleranza zero)
di David Ayer
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on Jake GyllenhaalMichael Peña e Anna Kendrick

Dopo essersi fatto le ossa con due pregevoli film ambientati nel mondo corrotto e violento della polizia, Harsh Times e Street Kings, David Ayer torna con una variazione sullo stesso tema. Questa volta pero’ decide di cavalcare il trend del genere camera-in-mano per filmare avvenimenti come fossero in tempo reale e in prima persona, e dota i suoi due protagonisti (e anche i cattivi) di un camcorder e due microcamere attaccate al taschino dell’uniforme. Mescolando, quindi, in un montaggio veloce e frenetico immagini in soggettiva e immagini non riprese dai personaggi, Ayer realizza un film crudo, dinamico e violento, con un crescendo drammatico ben costruito e con giuste dosi di sentimentalismo, superficialita’ e impegno politico.

Brian e Mike sono partner nel lavoro e amici fraterni nella vita, insieme condividono le quotidiane sfide che il loro lavoro di poliziotti di strada propone giorno dopo giorno, sempre in auto a rispondere a chiamate che possono nascondere insidie inaspettate. Quando pero’ fermano la macchina sbagliata e iniziano a investigare per conto proprio su questioni fuori dal loro controllo, vengono presi di mira da gente senza scrupoli che fara’ di tutto per eliminarli.

L’aspetto piu’ interessante del film e’ il feeling di verita’ e naturalezza che trasmettono Jake Gillenhall e Michael Pena. Per prepararsi hanno passato giornate intere insieme, e per mesi hanno seguito veri poliziotti in strada durante vere chiamate e con veri pericoli. La sintonia che si e’ creata tra i due e’ innegabile sullo schermo e proprio il loro credibile rapporto di amicizia sorregge una sceneggiatura che lascia spazio (forse) a qualche incongruenza, e che fondamentalmente non tratta niente di nuovo: bande di messicani, di neri, sparatorie, droga, pattugliamenti, poliziotto buono, poliziotto cattivo, poliziotto
insopportabile, inseguimenti etc. Uno stile vérité violento e crudo, e un linguaggio esageratamente da strada accompagnano le vicende dei due tra i quartieri di South Central a Los Angeles, mentre la presenza di Anna Kendrick e Natalie Martinez, le loro rispettive compagne, allenta un tantino la tensione e ammorbidisce il lato grezzo del film aggiungendo un tocco di femminilita’ a un contesto estremamente macho, in cui anche le poliziotte sono fredde e ciniche – America Ferrera irriconoscibile. Tensione sempre presente pero’, perche’ come dice Mike, quando si ha a che fare con un poliziotto qualcosa di terribile puo’ accadere ogni giorno e in ogni momento.

VOTO: 7

ARGO

di Ben Affleck
con Ben Affleck, Bryan Cranston e John Goodman

La carriera di attore di Ben Affleck è stata piuttosto altalenante, tra film rinomati e di successo, Good Will Hunting, Armageddon o Dogma, film mediocri, Daredevil, Al Vertice Della Tensione, Pearl Harbor, e film imbarazzanti Gigli, Natale in Affitto. Tutti giudizi personali, ovviamente. Ma da quando ha deciso di mettersi dietro la macchina da presa, i risultati sono stati sorprendenti. Gone Baby Gone è stato una rivelazione, ma si pensava a un colpo di fortuna, mentre The Town ha confermato che c’è effettivamente un certo talento per raccontare storie intense e per creare immagini crude e d’effetto. Con Argo Ben Affleck è stato consacrato definitivamente come uno dei registi più interessanti del panorama hollywoodiano contemporaneo. Ormai non è più un principiante e ormai non ha più scuse.

Nel 1979 dopo un rivolta contro l’ambasciata americana in Iran, sei funzionari statunitensi riescono a scappare dall’edificio e a rifugiarsi presso la residenza dell’ambasciatore canadese. Un’operazione congiunta tra CIA e governo canadese mette in piedi un piano insolito e rischioso per cercare di fare uscire dal paese i sei: fingere di voler girare un film di fantascienza, intitolato Argo, in Iran e far passare i funzionari come parte della troupe per poter poi riportarli a casa.

Questa operazione è stata top secret fino alla metà degli anni novanta, quando il presidente Clinton decise di renderla pubblica, ma per stessa ammissione di Ben Affleck, vari dettagil della vicenda sono stati ulterioriormente drammatizzati per creare ancora più suspense e senso di inquietudine. Va detto subito che l’intero film, al contrario della storia vera, è decisamente americanocentrico, e sembra che l’intera operazione sia stata al 99percento merito della CIA e il resto grazie alla collaborazione del governo canadese. Dopo la proiezione di Argo al festival di Toronto ci sono state diverse polemiche e rimostranze nei confronti del regista riguardo questo aspetto della sceneggiatura, e lo stesso Ben Affleck ha poi acconsentito ad aggiungere delle scritte nella parte finale per chiarire meglio i fatti.
Tutto questo però non toglie meriti a un film magistralmente girato, con un ritmo serrato che fa battere i piedi per quasi due ore, e con un perfetto equilibrio di ironia, dramma e sentimenti. Si vede che Affleck ha studiato Tutti gli Uomini del Presidente e Cassavetes, per prendere ispirazione come dare un tocco di anni settanta non solo nell’abbigliamento, ma anche nel modo di muovere la macchina da presa, specialmente in interni, sempre “in faccia” agli attori per non dare tregua allo spettatore e creare una sempre maggiore sensazione di ansia. Ma ha anche rivisto probabilmente Spy Game, per imparare come tenere il ritmo serrato e i battiti alti grazie a sequenze con un esasperato montaggio alternato, dialoghi incastrati ad hoc, e violenza psicologica non sempre visibile.
Fin dalla scena inziale, che si vive col cuore in gola e che colpisce per l’incredibile intensità della massa di gente, Argo non allenta mai il ritmo, neanche nella parte centrale ambientata maggiormente a Hollywood, e addirittura cresce costantemente fino al climax finale. Questa volta neanche la presenza di Ben Affleck stesso, nei panni di Tom Mendez, mente dell’improbabile piano, riesce a distrarre dalla straordinaria forza delle immagini, dall’azzeccata colonna sonora e dall’incredibile sviluppo della storia.
Sbilanciandomi troppo potrei dire che Ben Affleck ricorda come stile registico Clint Easwood, secco, essenziale, crudo e dritto al cuore e allo stomaco, ma per paragonarlo al grande vecchio del cinema deve passarne ancora di acqua sotto i ponti. Resta il fatto che con Argo ha dato prova di grande maturità tecnica e capacità narrativa. Interessante anche la scelta di girare il film su pellicola, tagliare ogni fotogramma a metà ed esploderlo del doppio per rendere l’immagine ancora più granulosa e anni settanta.
E bando a tutte le polemiche sull’arroganza americana nel raccontare i fatti storici come pare a loro. Argo non pretende essere un documentario sulla vicenda, ma un film che trasmette sensazioni e fa emozionare. E questo è cinema.

VOTO: 8

RED LIGHTS

di Rodrigo Cortés con Sigourney WeaverRobert De Niro e Cillian Murphy

Nel 1995 uscí Heat, nel 1996 Sleepers e nel 1997 Jackie Brown.
Questi sono stati probabilmente gli ultimi film degni di nota con Robert (Bob per gli amici) De Niro. De Niro era fino ad allora una sicurezza, la ragione per cui il novantapercento degli spettatori andava a vedere il film, l’ultimo baluardo di una generazione di attori che non si ripetera’ mai piu’, o se si ripetera’ sara’ diversa e imparagonabile, colonna portante di capolavori come Il Cacciatore, Quei Bravi Ragazzi o Il Padrino. Con Red Lights, invece, continua la trafila di progetti non necessari e utili solo a rovinare una carriera straordinaria.

Simon (De Niro) e’ un medium/guaritore cieco dai poteri incredibili che non e’ mai stato smascherato, e nemmeno indagato, dai due scienziati esperti di fenomeni paranormali, Margareth (Sigourney Weaver) e Tom (Cilian Murphy). Quando si presenta loro l’occasione per studiarlo e verificarne le capacita’, le conseguenze saranno drammatiche.

Rodrigo Cortés vorrebbe tornare a stupire dopo il fenomenale Buried, ma purtroppo dovra’ aspettare la prossima occasione e la prossima sceneggiatura – anche se questa e’ tutta farina del suo sacco. Tutto in Red Lights e’ “sballato”, incongruente e prevedibile. Tutti gli interpreti cercano visibilmente di rendere la storia e i dialoghi plausibili e credibilil, ma la sceneggiatura e’ un colabrodo e persino il contesto storico, sociale e culturale e’ indefinibile. Siamo in un film di fantascienza ambientato in una dimensione parallela in cui i medium sono perseguitati e messi in prigione per non si sa bene quale motivo una volta smascherati? O siamo in un film ambientato ai giorni nostri in cui senza alcuna spiegazione un medium creduto veramente tale e’ una scoperta clamorosa? La prima mezz’ora e’ godibile, grazie alla suspense creata dall’innegabile abilita’ registica e narrativa di Cortés, e non ci si pongono troppe domande e lasciandosi andare all’intrigante trama. Il colpo di scena a meta’ del film lascia di stucco, ma non per l’originalita’ (Hitchcock??), ma piuttosto per l’insensatezza e la mancanza di dettagli e spiegazioni. Da qui il film si sfalda, e anche l’ultimo atto non lo riscatta, scatenando sbadigli e un finale telefonato che delude e fara’ ricordare di aver visto uno dei peggiori film del 2012.

Buried
e’ stato una rivelazione e una dimostrazione di geniale creativita’, Red Lights, al contrario, una delusione su tutta la linea.
Conferma della dilagante superficialita’ hollywoodiana o passo falso di un regista comunque capace e talentuoso?

VOTO: 4