MEDITERRANEO

mediterraneo

Ogni tanto serve sfogarsi. Anche solo scrivere due righe, andare a correre, ascoltare musica a tutto volume con le cuffie, ma anche vedere film che sai ti faranno pensare, riflettere, piangere, ridere e stare bene con te stesso e col mondo.

Gabriele Salvatores è uno dei migliori registi italiani dell’era moderna, quell’era orfana dei nomi che hanno reso l’Italia una potenza del cinema mondiale e che ancora oggi quando si parla di cinema abbinato al nostro paese non si può fare a meno di nominarli. Salvatores ha sempre osato, ha sempre cercato storie e stili originali, e quasi sempre ha colpito nel segno, aggiungendo un tassello di innovazione ed esperienza a un cinema italiano spesso piatto, superficiale e monotematico. Dai primi film sui viaggi e sulla fuga dalla vita, fino alla fantascienza di Nirvana, alla psichedelia e surrealismo di Denti, dal noir al thriller, da Pirandello ad Ammaniti, fino ai supereroi e a quello straordinario progetto di Italy in a Day, Salvatores non si è mai tirato indietro. Ha vinto un Oscar forse non con il suo miglior film (come Scorsese d’altronde), ma superando il perfezionismo di Lanterne Rosse e almeno senza plagiare film e registi che avevano già reso grande il cinema per la loro vera bellezza.

Mediterraneo sortisce effetti diversi a seconda dell’età e del momento in cui si guarda, e come spesso capita con la musica, anche i film trasmettono emozioni e messaggi diversi in base al proprio vissuto, la propria esperienza, cultura e apertura mentale. Mediterraneo è dedicato a tutti quelli che stanno scappando, e mai come oggi la fuga dal proprio paese è considerata una tematica di gran moda. Tutti vogliono andarsene, tutti vogliono cambiare vita, si vuole costruire, progettare, avere possibilità nuove e gratificazioni meritate. Ma scappare non è per tutti. Scappare è difficile. I nostri eroi di Mediterraneo hanno tutti le loro ragioni per andare, restare o scappare (emblematico il personaggio di Claudio Bisio, sempre alla ricerca di via di fuga per tornare in patria dalla moglie, e lasciato al suo destino senza sapere come finirà la sua evasione), ma nessuno di loro a quanto pare riesce a fare la scelta giusta, tranne forse Farina, innamorato della sua Vassilissa e disertore per amore, che suo malgrado rimane solo con il ristorante dedicato alla moglie scomparsa. Raggiunto dopo del tempo dai suoi due superiori, Lorusso e Montini, i tre tagliano melanzane aspettando la fine di una vita che non farà altro che ricordare loro le occasioni perse e quelle colte, le decisioni giuste e quelle sbagliate, i bei momenti e i tramonti che fanno girare i coglioni. Mediterraneo è un film più profondo di quello che sembra, un ritratto di personaggi vari e diversi tra loro disegnato con poche parole e pochi dialoghi, ma con immagini e suoni che difficilmente si cancellano col tempo. La guerra finisce e per tutti i nostri eroi è come la fine dell’estate o la fine di una bella vacanza, quando bisogna ritornare alla razionalità di tutti i giorni e abbandonare i sogni e le illusioni. Ma è proprio obbligatorio rinunciarvi?
Si vive scegliendo e qualsiasi scelta comporta conseguenze, perdite e sacrifici.
Ma non è difficile scegliere, è difficile scegliere con consapevolezza e riuscire a convivere con le decisioni prese.

 

THE WOLF OF WALL STREET

di Martin Scorsese
con Leonardo DiCaprio, Jonah Hill, Margot Robbie

The Wolf of Wall StreetPeccato che DiCaprio non abbia perso o messo su cinquanta chili e non si sia imbruttito o trasformato per interpretare Jordan Belfort in The Wolf of Wall Street, altrimenti l’Oscar era assicurato. Così, invece, dovrà battersi con gli altri contendenti al titolo confidando solamente in una straordinaria e incredibile performance, probabilmente la migliore della sua lunga carriera. Se poi aggiungiamo che Leo è di nuovo in coppia con Martin Scorsese, allora le scommesse aumentano, ma sappiamo tutti benissimo che gli Oscar sono sempre (im)prevedibili e Scorsese ha avuto il suo tardo riconoscimento solo con The Departed. Detto questo, però, The Wolf of Wall Street è un film spettacolare e sopra le righe che ritrae il mondo dei broker in maniera eccessiva e talvolte grottesca, isprirandosi alla vita del personaggio reale Jordan Belfort, allevato, mangiato e sputato da Wall Street, e coinvolto in ogni genere di attività e depravazione che il denaro potesse permettergli e causargli.

Un film lungo e dettagliato, sempre in movimento e con un ritmo incalzante, The Wolf of Wall Street è un altro tassello che si aggiunge alla già ricca e invidiabile lista di film di Martin Scorsese che segnano in maniera indelebile la storia del cinema. Grazie a una storia vera di partenza già incredibile e piena di eccessi, Scorsese non lesina su niente e amplifica ogni dettaglio, ogni situazione e ogni personaggio fino allo stremo, in particolar modo Jordan Belfort, con un Leo DiCaprio in forma stratosferica che non si sottrae a sequenze e dialoghi fuori dall’ordinario. Certo, adesso si polemizzerà asserendo che si mostra troppo sesso, troppo uso di droghe, troppi comportamenti diseducativi etc etc, ma in fondo il discorso è sempre lo stesso: un film è un film, la realtà è sempre peggio e sempre più eccessiva e incredibile di quanto lo sia DiCaprio che sniffa cocaina dal fondoschiena di una donna, o le sbronze senza freni di broker delinquenti e truffatori.

Un film duro che non fa sconti, che ricorda a tratti Goodfellas (sarà la voce narrante, sarà il traffico di soldi e droga, sarà che è Scorsese…), girato con maestria e interpretato anche dal numerosissimo cast di contorno in modo sorprendente, Jonah Hill su tutti.
Forse sarà stata la vitamina B usata al posto della cocaina sul set…

VOTO: 9

THIS IS THE END

di Evan Goldberg, Seth Rogen
con James Franco, Jonah Hill, Seth Rogen

this-is-the-endUn divertissment di un gruppo di amici con conoscenze molto cool che parte come commedia autoironica, diventa poi un surreale viaggio fantascientifico, e finisce con la leggerezza e l’abbandono con cui è giusto che termini.

Jay Baruchel visita l’amico Seth Rogen a Los Angeles, e invece di passare il tempo solamente a fumare, mangiare e giocare ai videogame, i due decidono di fare un salto a casa di James Franco e partecipare al party che sta avendo luogo a casa sua. Tra camei di personaggi celebri e situazioni imbarazzanti, inizia l’Apocalisse e i nostri due protagonisti rimangono bloccati in casa con James Franco, Jonah Hill, Danny McBride e Craig Robinson. Riusciranno a uscirne vivi o perlomeno a non morire?

Fosse stata l’idea di un gruppo di amici sconosciuti This Is The End non sarebbe stato così cool e non avrebbe avuto un budget tale da realizzare tutti gli effetti necessari allo svolgimento della trama. Ma in questo caso il gruppetto di amici comprende alcuni degli attori più influenti e trendy del momento, così che il film diventa godibile e la grottesca trivialità di alcune parti viene giustificata dalla palese volontà di realizzare un fillm surreale, allegorico e a tratti demenziale. Niente di memorabile, ma lo strano ensemble funziona più di quello che ci si possa immaginare, e nonostante le battute volgari, l’imprevedibile trasformazione di Jonah Hill e l’irritante Danny McBride, This Is The End riempie bene il vuoto di una serata qualunque.

VOTO: 6

CARRIE 2013

di Kimberly Peirce
con Chloë Grace Moretz, Julianne Moore, Gabriella Wilde

carrie-2013Cosa significa ‘rifare un film per le nuove generazioni’?
Cosa significa re-immaginare un film?
Come sempre più spesso sta accadendo, opere più o meno degne degli anni 70-80-90 e persino 00 (Old Boy? Rec? Let The Right One In?) stanno subendo rifacimenti il più delle volte insensati e inutili. Ma le nuove generazioni non possono cercare e vedersi gli originali? Devono per forza esserci telefoni cellulari in Carrie così che i ragazzetti di oggi possano identificarsi in quello a cui stanno assistendo? I remake sono sempre esistiti e spesso hanno dato anche risultati eccellenti, vedi The Thing di John Carpenter, ma negli ultimi anni hanno creato sempre più polemiche e sfregiato film cult, e non, senza ritegno.

Carrie non fa eccezione, purtroppo. Certo vedendo oggi l’originale di Brian De Palma non si può non ammettere che sia un filo datato e che alcuni effetti siano piuttosto empirici, sebbene molto efficaci. Ciononostante i contenuti sono estremamente attuali, grazie alla storia di Stephen King, le metafore assolutamente incisive, le interpretazioni straordinarie, anche se Piper Laurie nel ruolo della madre è a volte eccessivamente eccessiva. Il laissez faire degli anni 70 poi permetteva di mostrare più di quello che si fa oggi rendendo la scena iniziale terribile e allo stesso tempo intrigante, mentre il crescendo di tensione è maneggiato con sapienza da un regista abile come pochi a far stare sul filo di lana.
Nel remake, Kimberly Pierce si ricorda di aver vinto un Oscar con Boys Don’t Cry (non lei, ma Hilary Swank) e si crogiola nuovamente in una tematica di disadattamento e imbarazzo. Non c’era niente da cambiare in un film come Carrie, e la regista sceglie di modificare alcuni dettagli dell’inizio e della fine, oltre ad aggiornare, ovviamente, la qualità visiva delle varie scene con i mezzi odierni. La telecinesi della nostra protagonista è resa in maniera più efficace grazie a effetti speciali meno empirici, e il delirio finale è certamente più spettacolare e coinvolgente. Alla giovane Chloe Moretz però non resta far altro che imitare Sissy Spacek e ricalcare le sue orme, anche se gli occhioni sgranati sono irripetibili, mentre la più matura Julianne Moore gioca d’esperienza e dà al personaggio della madre un’impronta meno carica e più essenziale nei suoi vaneggiamenti religiosi.

Godetevi pure i remake, ma andate a cercare anche gli originali, per favore.

VOTO: 5.5

LEE DANIELS’ THE BUTLER

di Lee Daniels
con Forest Whitaker, Oprah Winfrey, John Cusack

the_butlerDopo averci commosso e fatto sgranare gli occhi davanti a Precious, Lee Daniels torna con un film sulla carta intenso e di grandi prospettive. Raccontare la vita di un bambino di colore diventato col tempo maggiordomo alla Casa Bianca e rimasto per varie decadi, attraversando diverse epoche e affiancando diversi presidenti, richiede controllo e una grande visione d’insieme della storia americana.
Dai campi di cotone Cecil Gaines (Forest Whitaker) combatte, soffre, impara un mestiere e abbassa la testa fino a diventare il maggiordomo principale della Casa Bianca, assistendo a privatissimi meeting e guardando da spettatore privilegiato il susseguirsi di avvenimenti storici. Il film però non segue solamente le sue gesta al numero 1600 di Pennsylvania Avenue, ma anche e soprattutto la sua vita di marito e padre di due figli. E sarò proprio il maggiore dei due, Louis, a rappresentare per Cecil il contraltare politico, sociale e culturale di quello che invece lui stesso vive tutti i giorni alla Casa Bianca. Tra lotta all’apartheid e Ku Klux Klan, e tra i Black Panthers e Malcolm X, Louis riesce lentamente a far render conto a suo padre che esiste un’altra America, un’America che segrega, odia ed emargina gli Afro-Americani da scuole, ristoranti e autobus, ed è giunto il tempo di alzare finalmente la testa.

Sulla carta, quindi, un film complesso e storicamente intricato, con da un lato i presidenti che vedono in televisione quello che succede al loro paese e dall’altro i giovani di colore che lo vivono sulla loro pelle. Lee Daniels però dopo una prima parte interessante e che ben promette per il prosieguo, inizia a passare in rassegna personaggi e avvenimenti in maniera didascalica ed eccessivamente retorica. Da The Butler non si impare nulla della storia americana se già non si conosce qualche cosa, si vedono facce, fatti e discorsi, ma rappresentati troppo superficialmente e prevedibilmente per scatenare interesse e stupore. Le parti più intense hanno per protagonista Louis, dato che è lui che sulla propria pelle sente la pesantezza e l’ipocrisia di un paese intero, e sarà proprio il figlio il vero eroe del film che tra immagini di archivio e messaggi di speranza arriva al finale. Finale che vorrebbe rappresentare il termine di una salita, ma che nei fatti di tutti i giorni è comunque ancora molto lunga.

Forest Whitaker è straordinario, anche se meno coinvolgente del solito,  Oprah Winfrey è sorprendente nei panni della moglie, mentre i picchi di interesse sono rappresentati dai vari presidenti interpretati con divertimento da diversi attori, Robin Wiliams è Eisenhower, James Marsden è JFK, John Cusack è Nixon, Liev Schreiber è Johnson, Alan Rickman è Reagan, ma la parte forse più ironica la fa Jane Fonda nei panni di Nancy Reagan.

Da vedere accostato a Forrest Gump e 12 Years a Slave per avere un quadro più completo.

VOTO: 6

AMERICAN HUSTLE

di David O. Russell
con Christian Bale, Amy Adams, Bradley Cooper

american-hustleIl film precedente di David O.Russul Silver Linings Playbook è stato incredibilmente sopravvalutato facendolo diventare altro da quello che realmente è, e cioè una trita e banale storia lui-lei con intrecci vari e con persino una gara di ballo finale. Se non fosse stato per la notevoli interpretazioni di Bob De Niro e Bradley Cooper, e per il fondoschiena della pur brava JLaw, Silver Linings Playbook sarebbe passato piuttosto inosservato.
Con American Hustle, invece, O.Russel ritorna a un cinema più ruvido e ambizioso, basato su personaggi talvolta eccessivi, ma tenuti sotto controllo ancora una volta da straordinarie interpretazioni. Christian Bale si è sottoposto all’ennesima trasformazione dopo The Machinist (L’Uomo Senza Sonno), Rescue Dawn e The Fighter, ingrassando quasi trenta chili e sfoggiando un riporto e una postura che non lo fanno passare inosservato, ma anche Bradley Cooper, Amy Adams e Jennifer Lawrence contribuiscono con performance che aumenteranno ancora di più il loro cachet e presenze in futuri film.
Personaggi ben definiti, con pregi, difetti, manie, tic e caratteristiche ben studiate e ben rese, ma al di là di questo e di una grande abilità nel riportarci indietro agli anni settanta, con musiche, stili e atmosfera impeccabili, al film di David O.Russel manca forse quella fluidità narrativa e quel tocco di ecletticismo per coinvolgere lo spettatore totalmente nella storia. Il regista è noto per lasciare improvvisare, per adattare la storia giorno per giorno e per incentrarsi più sui personaggi e sui loro risvolti psicologici, piuttosto che sul rendere avvincente e coinvolgente la storia che sta raccontando. Anche in American Hustle, il gioco di inganni e imbrogli, chi sta fregando chi, è quasi in secondo piano rispetto alla precisione con cui Irving Rosenfeld (Christian Bale) si sistema il riporto, ma ciò detto non mancano dettagli che rendono il film intrigante e complesso, come la storia della pesca sul ghiaccio che si raccontano Richie Demaso (Bradley Cooper) e il suo capo, o il dettaglio dello smalto di Rosalyn Rosenfeld (JLaw), o il cameo non ufficiale di un attore in un ruolo ovviamente cucito su misura per lui.
David O. Russel si ispira allo scandalo Abscam (truffa araba) degli anni 70, ma inserisce alla sua maniera elementi e personaggi creando un quadro realistico e affascinante dell’epoca. Non è Goodfellas, ma con un Joe Pesci in più e una crudezza più azzardata, forse qualche paragone si sarebbe potuto fare.

VOTO: 6.5

GRAVITY

di Alfonso Cuaròn

gravityJames Cameron l’ha definito il miglior film ambientato nello spazio che sia mai stato realizzato, ed è proprio grazie alla tecnologia sviluppata da Cameron per Avatar che Alfonso Cuaròn ha potuto creare quello che aveva in mente e in cantiere già da diversi anni. GRAVITY però non è solamente una mostra di straordinari effetti visivi senza contenuti, anzi, la sceneggiatura composta di pochi, ma efficaci, dialoghi lascia il campo a una splendida interpretazione da parte di Sandra Bullock e di un George Clooney che fa un po’ se stesso, ma lo fa bene.

Dopo essere stati investiti da uno sciame di detriti spaziali, Ryan Stone e Matt Kovalski sono alla deriva e devono trovare il modo di ritornare sulla terra. In un mare infinito di silenzio e di assenza di gravità, i due avranno a disposizione pochissime risorse per tentare il tutto per tutto.

Come in un vorticoso balletto o, più metaforicamente, nelle situazioni della vita in cui ci si ritrova sballottati da eventi e cause che non sempre dipendono da noi stessi, i due astronauti sono in preda a leggi e a sensazioni non paragonabili a niente sul pianeta terra, tranne quando si tratta di confrontarsi con se stessi. La resa dei conti con ciò che eravamo e che siamo, la sfida dell’esistenza e le incognite del futuro, questo è quello che mantiene in vita anche nello spazio.
Mentre il personaggio interpretato da George Clooney non permette all’attore di sfoderare tutte le sue capacità, quello a cui dà vita Sandra Bullock è pieno di sfumature e sfaccettature che l’attrice coglie e rielabora in maniera straordinaria trasmettendo emozioni anche solo attraverso un respiro affannato, e questo senza contare il lavoro enorme di coreografie studiate per recitare in assenza di gravità.  Al di là di computer grafica, accuratezza scientifica, fotografia studiata nei minimi dettagli e metodi all’avanguardia per rendere tutto il più verosimile possibile, GRAVITY è comunque un film incentrato sulla storia e sui personaggi, contornati da una tensione costante che non allenta mai la presa, neanche al finale pieno di significati e domande.

Alfonso Cuaròn aveva già dimostrato talento narrativo e visivo (Y tu Mamà también, Harry Potter and the Prisoner of Azkaban, Children of Men), ma speriamo di non dover aspettare altri sette anni per il suo prossimo film.

VOTO: 8

…and I’m back!

empire-strikes-backEccomi qua. Dopo alcuni mesi e tanti cambiamenti sono tornato al blog.
Oltre a fare nuovamente compagnia a quel pugno di persone che saltuariamente leggevano i miei articoletti, ho riaperto la serranda per poter esternare senza filtri ciò che mi fa provare il cinema.
Sarò eccessivo, sarò drastico, sarò drammatico, suscettibile, superficiale, qualunquista, nerd o pedante…ma sì, sono tornato.

STOKER

di Park Chan-wook
con Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode

stoker

Primo film americano per il regista diventato culto con la trilogia della vendetta, e come per altri registi asiatici volati a Hollywood attratti presumibilmente dai soldoni e dai red carpet, anche per quanto riguarda Park Chan-Wook la sua opera prima in terra straniera non convince appieno.

La giovane India Stoker rimane sola con la madre Evelyn dopo la morte improvvisa del padre, ma l’arrivo dello zio Charlie, fratello sconosciuto del padre, cambierà radicalmente la sua vita, aprendola a strade che lei stessa non pensava potessero neanche esistere.

Park Chan-Wook trasferisce su schermo una sceneggiatura di Wentworth Miller, l’eroe di Prison Break la cui storia era la prima nella black list delle più interessanti non realizzate del 2010, e pare evidente fin dall’inizio un imbarazzo nella scelta del tono. Forse per pressioni della produzione (lo stesso Miller, ma anche Ridley e Tony Scott appaiono tra i produttori), forse per una voglia di cambiare registro, forse per tentare di stupire con armi non proprie, fatto è che Stoker non ha quella fluidità e quel ritmo narrativo che incollano allo schermo senza lasciarti mai un secondo.
La maestria e la sensibilità del regista non si discutono, la poeticita’ di alcune inquadrature e di vari cambi di scena tradiscono un talento visivo che Hollywood non puo’ cancellare, cosi’ come l’importanza dei colori, dei suoni e della violenza, sempre presente, ma mai fine a se stessa. Il peso di una straordinaria trilogia basata su di un’estrema violenza e sulla vendetta e’ ancora grande. La silenziosa e cruda storia di Sympathy for Mr.Vengeance, l’incredibile e impareggiabile intensita’ di Oldboy, la perversa parabola di Lady Vengeance, sono precedenti che aggiungono pressione ad ogni film successivo. In Stoker Park Chan-wook gioca con lo spettatore e cerca di sorprenderlo ad ogni occasione, grazie a una notevole interpretazione di Mia Wasikowska, pacata e lunatica, ma incisiva quando necessario, come anche di Matthew Goode, sempre ambiguo e intrigante come richiede il personaggio. Leggermente sotto le aspettative Nicole Kidman, in un ruolo che non le si addice piu’ di tanto, e con gli anni che iniziano a farsi vedere nonostante i tentativi di ringiovanimento. Quello che delude maggiormente, quindi, e’ la struttura narrativa che sembra avere qualche pezzo mancante (la domestica?) e i colpi di scena che non paiono colpire come dovrebbero.
Con completa liberta’ d’azione Park Chan-Wook sarebbe (ed è stato) in grado di esprimersi ad altissimi livelli, e potrebbe portare a Hollywood la sua visione senza filtri o compromessi, ma forse questo equilibrio instabile tra dire/non dire e  mostrare/nascondere su cui gioca Stoker è frutto di un suo piano strategico ben studiato. In questo caso allora, dovrebbe rivedere la sua tattica e sfoderare l’enorme talento senza riserve e senza sottostare per forza alle regole di una produzione forzata.

VOTO: 6.5

MAN OF STEEL

di Zack Snyder
con Henry CavillAmy AdamsMichael Shannon

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Sono tempi duri per i film di supereroi, sempre piu’ numerosi e sempre piu’ spettacolari, e grazie alla genialita’ di Zack Snyder, Man of Steel alza ulteriormente il livello di qualita’ e magnificenza visiva.
Tutti sanno la storia di Superman, tutti sanno che poteri possiede, da dove viene e quale sia il suo punto debole. Ed e’ per questo che Zack Snyder, coadiuvato da Christopher Nolan alla produzione e David Goyer alla sceneggiatura, decide di virare totalmente dallo sfarzo di colori e divertimento che e’ stato Avengers, ad esempio, e dagli stereotipi tipici gia’ visti milioni di volte. Per cui niente kriptonite, niente mutanda rossa, niente Lex Luthor (solo una veloce apparizione di un camion con la scritta Luthorcorp), niente spalla comica, niente battute ironiche e niente miele stile Smallville. Ma soprattutto Zack Snyder vuole dare a Superman un’anima umana e in Man of Steel Clark Kent e’ un uomo alla continua ricerca di se stesso, si pone costantemente domande sul perche’ della sua esistenza (chi non lo fa d’altronde) e combatte quotidiamente contro i suoi istinti. Un’intelligente alternanza di immagini del presente e flashback permette di assistere alla difficile evoluzione di Clark Kent sulla terra, prima bambino e ragazzino che fatica a trattenersi dallo sfoderare i suoi poteri, poi uomo in grado di controllarli perfettamente, ma ancora perso alla ricerca di una ragione di vita.
I colori tra il grigio e il nero dietro una patina desaturata rendono tutto e tutti inquietanti e dark, Superman incluso, e le uniche note di colore vengono dai ricordi di Clark Kent bambino e da alcune sequenze surreali condite con dettagli evidenziati da delicati movimenti di macchina e una fotografia raffinata. Zack Snyder dimostra ancora una volta un grande talento visivo e una notevole capacita’ a mescolare sequenze descrittive d’esposizione con incredibili e iperreali scene d’azione e di distruzione. E non manca neanche la sensibilita’ propria di chi sa stupire con semplicita’ ed e’ cosi che una semplice inquadratura di Superman e Lois Lane nel deserto diventa una bellissima immagine alla Wim Wenders, mentre i flashback ricchi di primi piani, dettagli e voice-over ricordano la delicatezza di Terrence Malick.
Detto questo, pero’, Man Of Steel e’ maestoso e spettacolare dall’inizio alla fine con sequenze da lasciare a bocca aperta, e nonostante il 3D sia ancora una volta piuttosto irrilevante, gli effetti speciali e visivi sono qualcosa di mai visto prima. Tutto sembra azzeccato, quindi, con Henry Cavill che pare nato per impersonare Superman, Russel Crowe a proprio agio e convincente nei panni del padre Jor-El, e Michael Shannon che non tenta di imitare Terence Stamp e che rende il suo Generale Zod minaccioso e originale. Anche Kevin Costner e Diane Lane aggiungono spessore e sensibilita’ nei panni dei genitori terrestri di Clark Kent, cosi come Amy Adams non fa rimpiangere Margot Kidder nelle vesti di Lois Lane, tratteggiandola in maniera decisa e risoluta.

Ci sara’ parecchio da ricostruire e da risistemare a Smallville e Metropolis dopo il passaggio di Superman e del Generale Zod con la sua armata, ma risentiremo presto parlare di Clark Kent.

VOTO: 7.5